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Decimo dono: dirmi il sacrificale da fare.
Venga il mio sacrificale fisico. Terza richiesta: il suo
costo: dolore morale.
Inciso: il pianto di Gesù. Gesù strumentalizza e finalizza
la morte: gloria di Dio; fideazione dei suoi e in primo
luogo delle due sorelle. Lo tenta con Marta per via della
Parola. Impenetrabile la durezza egoisticale. Il fremito fa
scoppiare il pianto davanti a Maria.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno, che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale, ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale. Ci si accosta pregandolo.
Quando pregate, voi dite: Padre nostro che sei nei cieli.
Preghiera sacrificale da dire e da fare. Bene appellato e
collocato. Bene augurato e perorato: venga il tuo Regno
sacrificale: temporale e eternale. Col tuo il nostro: il
cosmico, il bellico, l’inimicale, il fisico: venga il nostro
sacrificale fisico. Deriva dalla forma potenziale della vita.
Effettivamente ad essa unito, affettivamente stralciato da
essa. Possibile la riappacificazione mediante l’amore
sacrificale che attingiamo dal visuato Paterno pronto a
rispondere a queste richieste:
1) Cosa mi vuoi dire
2) Cosa mi vuoi fare
3) Quanto mi vieni a costare: dolore fisico e morale sono
il suo costo.
Il morale me lo preparo con la mia egoisticità che fa
comunione con me stesso, sugli altri, con gli altri. La
comunione colpita e infranta mi dà il dolore morale e il
pianto. Ambedue egoisticali, ma anche ambedue sommamente
beneficali, per chi ha appreso l’arte del buon impiego.
Per approvare il nostro, tiriamo dentro anche quello di
Gesù (come noi, così piange anche Lui). Che pianto è
stato il suo? Di dolore. Di quale dolore? Egoisticale?
Esaminiamolo ancora. Ama Lazzaro, ma di un amore tale
che gli fa amare la sua morte. Non accorre per impedirla,
ma la lascia scorrere tranquillamente.
Gesù non è nemico della morte: non la combatte e non la
vince; la sa bene impiegare. È un dono Paterno perché ce ne
serviamo per il bene nostro. Ama la morte di Lazzaro e se
ne serve per un gran bene suo e nostro. Quale? L’ha dunque
finalizzata e l’ha strumentalizzata, come farà con la sua. A
che cosa finalizzata? ‘Questa malattia non è preordinata alla
morte, ma alla gloria di Dio, affinché sia glorificato il Figlio
di Dio per mezzo di essa’. Dunque per far brillare l’identità
del Figlio; per farla accogliere e per appropriarsene. Un processo
che si chiama: fideamento o fideazione. ‘Sono contento
per voi, di non essere stato là, affinché crediate’. Ma
la fideazione si fa sulla Parola. La prima via che Gesù tenta,
con Marta. Lo può fare in assenza del pianto.
Gesù ascolta (ma non l’accetta) il rimprovero alla sua amicizia:
non si trattano così gli amici!. Aveva ragione: Marta
poneva la sua fiducia nella comunione amicale egoisticale,
ma Gesù non la concede ad alcuno.
Dal suo rimprovero viene a galla una sua fede sbagliata:
che Gesù fosse l’ostacolatore e l’oppositore della morte.
Lui non odia, non si oppone, come non fugge davanti alla
sua. Non ha alcun rispetto al pianto egoisticale che suppone
odio alla morte. Non lascia piangere la madre di Naim.
Dunque il pianto era nemico di Gesù, altro che naturale!
Però Marta crede pure che la preghiera di Gesù ha una
grande efficacia: ‘Qualunque cosa...’; ma non la sua risurrezione.
Allora Gesù le propone quello che non crede:
‘Tuo fratello risorgerà’. Oh, alla fine, sì, dice lei; ma non
ora. Ecco la sua identità: Io Sono la Risurrezione presente
e la vita. Io Sono: è un irradiatore: emette raggi risurrezionali
là dove fa giungere i raggi vitali, che emanano unicamente
dal suo amore sacrificale. Risurrezione, vita, amore
sacrificale sono i passaggi obbligatori. Gesù ha oltrepassato
la vita e la morte presente per andare alla vita futura.
Una vita che non conosce più la morte dell’amore; alla
quale si giunge con l’amore sacrificale che trasforma in
vita l’amore e quella materia che cade nella morte. Marta
fa uno sforzo e arriva a crederlo Messia, Figlio di Dio che
viene nel mondo. Non sa a fare cosa. Marta non crede la
vita eterna fornita dalla sacrificalità dell’amore.
Il fremito che scuote Gesù parte con Marta e fa scoppiare
il suo pianto davanti a Maria con la quale non può alcun
tentativo. Anela a farsi accogliere quale è, e ne ha un
impedimento totale. Piange quindi sulla durezza del cuore
di due donne. Durezza egoisticale là piange, qui si scioglie:
non si accoglie la sacrificalità dell’amore.

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