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Decimo dono: dirmi il sacrificale da fare. Venga il mio
sacrificale fisico.
Terza richiesta: il suo costo: dolore morale: il bene che mi
vuol fare: la sua beneficalità.
*) Mi dà la misura esatta del grado di egoisticità comunionale.
Gesù ha presente la massima gradazione parlando
della sua sequela e della comunione con Lui. La misura
reale è dal dolore. Termometro, manifestazione. Ora
nella verità parlata del Visuato.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno, che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale, ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale. Ci si accosta pregandolo. Quando pregate, voi
dite: Padre nostro che sei nei cieli. Preghiera sacrificale da
dire e da fare. Bene appellato e collocato. Bene augurato e
perorato: venga il tuo Regno sacrificale: temporale e eternale.
Col tuo il nostro: il cosmico, il bellico, l’inimicale, il
fisico: venga il nostro sacrificale fisico. Deriva dalla
forma potenziale della vita. Effettivamente ad essa unito,
affettivamente stralciato da essa. Possibile la riappacificazione
mediante l’amore sacrificale che attingiamo dal
visuato Paterno pronto a rispondere a queste richieste:
1) Cosa mi vuoi dire
2) Cosa mi vuoi fare
3) Quanto mi vieni a costare? Dolore fisico e morale sono
il suo costo.
Il morale si sprigiona dal costume di vita egoisticale.
L’azione è egoisticale. L’egoisticità che realizziamo è sempre
comunionale.
a) Comunione con me stesso (meitaria)
b) Comunione sugli altri (autoritaria)
c) Comunione con gli altri (paritaria senile)
A ogni colpo inferto a queste comunioni ecco puntuale il dolore
morale di lacrime irrorato. È dolore e pianto egoisticali.
Se continuiamo a pensare che il dolore morale è la punizione
divina su chi ha preferito la comunione con la creatura
a quella con il Creatore, allora non c’è che chinare la
testa e accettarlo da castigati. Il visuato Paterno mi ha
sciolto un simile sentire, e me ne ha passato uno certamente
migliore. Ora il dolore morale lo sento beneficale: è
disposto a farmi un gran bene.
Dobbiamo dunque fare parola della sua beneficalità.
Possiamo fare un lungo elenco completo del bene che mi
fa. La prima sua beneficalità: ‘Mi dà la misura esatta del
grado di egoisticità comunionale’: è quella egoisticità che
io impiego in una comunione.
Gesù parlando di varie forme di comunione egoisticale ha
presente la massima gradazione, che si può realizzare
nelle tre comunioni in parola.
1) Parlando della sua sequela pone come condizione: il
superamento (scioglimento) delle tre comunioni egoisticali:
a) Se uno viene a me, e non odia la sua stessa vita, non
può essere mio discepolo (non può imparare da me).
b) Se uno viene a me e non odia i figli, non può essere
mio discepolo.
c) Se uno viene a me, e non odia sua moglie, non può
essere mio discepolo.
2) Parlando della comunione con Lui, la dice incompossibile
con la egoisticale.
a) Chi ha trovato la sua vita la perderà.
b) Chi ama il figlio, la figlia più di me, non è degno di
me (non può fare comunione con me)
c) Chi ama il marito più di me, non è degno di me.
Ora la gradazione reale raggiunta dalla mia egoisticità
comunionale me la misura moralmente il dolore morale, e
finanche sensibilmente il mio pianto egoisticale; solamente
il dolore morale che mi dà da sentire la comunione egoisticale
stracciata.
Il dolore morale è la chiara, precisa e infallibile manifestazione
del male che mi son fatto all’amore comunionale. È
un autentico termometro della mia febbre egoisticale
comunionale.
È l’ora della veracità del male che mi son fatto all’amore
comunionale. Il dolore morale per ciascuno di noi è verace;
solamente che il fideato non c’è riuscito a illuminarlo
e a farlo parlare.
Lo fa generosamente e puntualmente il visuato Paterno
che dopo di averlo illuminato ce lo fa parlante in un modo
veracissimo. Non lasciamoci inabissare nella desolazione
e nella amarezza disperata di un dolore morale che non
accoglie la verità del suo messaggio.
Diamoci per tempo questa lettura convincente, perché
quando dovremo assaporare il nostro dolore morale non
abbiamo a rigettare quel dono finale.

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