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Decimo dono: dirmi il sacrificale da fare.
Venga il mio sacrificale fisico.
Terza richiesta: il secondo bene che mi vuol fare: ogni
comunione frangibile mi rimanda alla infrangibile. Mi sollecita
il dolore pneumatico. Me lo suscita non per comunione
infranta, ma trasformata in morte. Mi fa richiesta di un
dolore pneumatico almeno alla pari con quello morale.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno, che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale, ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale. Ci si accosta pregandolo.
Quando pregate, voi dite: Padre nostro che sei nei cieli.
Preghiera sacrificale da dire e da fare. Bene appellato e
collocato. Bene augurato e perorato: venga il tuo Regno

sacrificale: temporale e eternale.
Col tuo il nostro: il cosmico, il bellico, l’inimicale, il fisico:
venga il nostro sacrificale fisico. Deriva dalla forma
potenziale della vita.
Effettivamente ad essa unito, affettivamente stralciato da
essa. Possibile la riappacificazione mediante l’amore
sacrificale che attingiamo dal visuato Paterno pronto a
rispondere a queste richieste:
1) Cosa mi vuoi dire
2) Cosa mi vuoi fare.
3) Quanto mi vieni a costare.
Dolore fisico e morale sono il suo costo. Il morale me lo
prepara il mio vivere egoisticale. La mia egoisticità vuole
comunione sempre con me stesso (meitaria); talora sugli
altri (autoritaria); di frequente con gli altri (paritaria).
Comunione colpita, dolore morale in sortita. Non è punitivo,
ma beneficale. Il primo bene che mi fa: mi dà la misura
esatta del grado di comunione egoisticale realizzata.
Ora, un secondo bene: grande diversità nel dolore morale
per la diversità di comunione infranta.
a) Se la comunione è utile, il dolore è contenuto.
b) Se la comunione è necessaria, il dolore si fa pungente.
c) Se la comunione è indispensabile, il dolore sarà esasperato.
(Sintesi del secondo bene: mi è rimando alla infrangibile.
Mi sollecita. Mi suscita, me lo fa pareggiare almeno)
Non c’è una sola creatura indispensabile. Lo si vuol dire
di una madre per il bambino. Ce le fa sentire tale la comunione
egoisticale che si costruisce una comunione vitale.
La comunione egoisticale me la fa sentire tale.
Lo diciamo anche noi, ma non da convinti: ‘Al mondo non
c’è nessuno di più indispensabile’; eppure una madre va
convinta che il figlio è indispensabile alla sua comunione
egoisticale. Qualsiasi comunione creaturale (non genuina)
è un puro surrogato di quell’altra comunione che è assolutamente
essenziale: la comunione col Creatore (unica
genuina). Tutte frangibili nel tempo; una sola infrangibile
nell’eterno. Il dolore morale vuole il rimando alla comunione
con Dio (infranta); ma senza luce visuata me la fa
addirittura scartare.
*) Il dolore morale vuol gridare al dolore pneumatico. Ci
facciamo male sì o no a far comunione con le creature
adoperando l’amore egoisticale? Se l’umana infranta mi
dà tanto dolore, quanto più me ne dovrebbe dare la morte
dell’amore realizzata: dolore pneumatico.
*) Me lo vuole suscitare il dolore pneumatico; non per la
eliminazione della divina, ma per la sua trasformazione in
morte comunionale.
È proprio l’umana egoisticale a volgere in morte la divina.
Il morale è istintivo, lo pneumatico è razionale: di qui la
difficoltà a conseguirlo.
*) Mi indica la misura almeno paritaria del dolore pneumatico.
Chi può misurare il dolore egoisticale di una
madre che perde il suo bambino in tenera età? Chi mai
potrà misurare il dolore morale eternale per una comunione
di vita eternale realizzata in comunione di morte eternale?
Tutto il dolore morale egoisticale lancia un grido
altissimo di lamento: perché non sono riuscito e non riesco
a suscitare il dolore pneumatico per una comunione
che volge alla morte?

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