338

Decimo dono: dirmi il sacrificale da fare.
Venga il mio sacrificale fisico.
Terza richiesta: il suo costo: dolore morale. La comunione
autoritaria: la materna: si va concentrando su pochi.
La fisiologica che fa scattare la psicologica. Oggi male
tollerato dal figlio, che preferisce la paritaria. E non vale
favorirla col piacerale. È degradante. Ma quando viene
colpita mortalmente da male o disgrazia il vulcano raggiunge
Dio per incenerirlo.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno, che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del
dire egoisticale, ed ecco uscir fuori la preghiera del fare
sacrificale. Ci si accosta pregandolo. Quando pregate, voi
dite: Padre nostro che sei nei cieli. Preghiera sacrificale da
dire e da fare. Bene appellato e collocato. Bene augurato e
perorato: venga il tuo Regno sacrificale: temporale e eternale.
Col tuo il nostro: il cosmico, il bellico, l’inimicale, il
fisico: venga il nostro sacrificale fisico. Deriva dalla
forma potenziale della vita. Effettivamente ad essa unito,
affettivamente stralciato da essa. Possibile la riappacificazione
mediante l’amore sacrificale che attingiamo dal
visuato Paterno pronto a rispondere a queste richieste:
1) Cosa mi vuoi dire
2) Cosa mi vuoi fare
3) Quanto mi vieni a costare: il suo costo è dato dal dolore
fisico congiunto al morale: ‘Dolore che sgorga dal modo
abituale di vivere: dal costume di vita egoisticale’. Per
ogni azione ci si fa su egoisticamente. L’egoisticità è
comunionale. La prima è meitaria. A ogni colpo ecco
scoppiare il dolore morale. Il colpo più duro lo riceve
dalla malattia fisica. Il tre fasi successive il dolore va in
crescendo: fase suspiciosa, diagnostica e terminale.
Segue a ruota un’altra comunione cui assegniamo subito il
suo titolo: ‘Comunione autoritaria’. Diciamo: segue.
Infatti la meitaria parte con un possesso iniziale totale. Io
sono mio e comunico tutto con me stesso. L’autoritaria è
degradante (discendente) (calante) e la sua difesa impegna
in sforzi eccezionali. La chiamo autoritaria, perché chi fa
comunione supera chi la riceve. Su tutte, eccelle la comunione
materna: quella che la madre realizza col proprio
figlio. È in continua intensificazione.
Ieri aveva una larga suddivisione: la madre comunicava
con 5 o 10 figli. Oggi comunica normalmente con due o
con uno solo. È la concentrazione.
I nove mesi della gestazione li fa essere conviventi (simbiosi)
in maniera unica.
La madre da disponente (elargente): è tutta a disposizione
del figlio; e lui, da mutuante: riceve tutto dalla madre. È la
comunione materna fisiologica.
Questa (induce) regola la seconda, che si farà avanti imperiosa
man mano la fisiologica andrà degradando. La
degradazione ha il suo avvio con la nascita.
Avanza la fisiologica man mano cresce la separazione fisica.
La madre lo vuole mantenere psicologicamente suo,
legato a lei con un nuovo cordone ombelicale: quello della
affettività totale. Oggi la comunione autoritaria prestissimo
viene spazzata via da quella paritaria.
Già la madre la favorisce. Per farlo aderire pienamente
coltiva, alimenta il piacerale di marchio materno e non se
ne accorge che se lo va alienando velocemente. Il dolore
morale ha così la sua accurata e intensa preparazione. Il
suo svolgimento però avrà una sua gradualità. Ma la mia
attenzione va a quei pochi eventi nei quali la comunione
materna viene colpita mortalmente.
Il figlio viene rapito dalla madre sua o da un male violento
o da un segno profeticale o a una disgrazia divorante.
La comunione materna in un attimo viene bruciata e polverizzata.
Indescrivibile quell’annientamento crudele e
disumano. Alla madre rimane solo la meitaria così offesa
e così indignata da trasformarsi in un vulcano che non fa
fatica a raggiungere Dio: ‘Tu non hai un cuore né di padre
né di madre!’. Detto bene. Dio ha un cuore solo sacrificale,
e tu madre hai un cuore egoisticale.

Nessun commento:

Posta un commento